New Politics - Il Riformista -  Lunedì 1 Novembre 2004
 
Fiction? WEST WING    di Marta De Cinti
Più che il presidente il capo dello staff
 
C'è un serial tv che spiega la Casa Bianca

West Wing è il telefilm che ha avuto il merito di mostrare al pubblico televisivo le segrete stanze dell'amministrazione americana. La serie, infatti, ci conduce letteralmente attraverso i corridoi dell'ala ovest della Casa Bianca. Come in ER l'occhio della telecamera seguiva passo passo le gesta dei medici in prima linea nel loro alternarsi tra sala operatoria e rianimazione, in West Wing la macchina insegue i protagonisti nel loro rincorrersi attraverso gli uffici, raccontandoci gli sforzi quotidiani della squadra che (davvero) dirige il paese.
West Wing nasce nel 1999 dall'imprevedibile mente di Aaron Sorkin. Tra i volti noti del cast spicca Martin Sheen nel ruolo del presidente democratico Josiah Bartlet, dotato di un brillante carisma, una buona conoscenza del latino e un Nobel in economia (tre caratteristiche che lo relegano inevitabilmente nel mondo della fantasia). Stockard Channing, l'indimenticabile Rizzo di Grease, è la first lady. E' lo staff, però, il motore della sceneggiatura. L'incessante scambio di opinioni su qualsiasi questione - dalla proposta di abolizione del penny di un deputato di cui occorre assicurarsi il voto al Congresso, alla partita su cui scommettere, al senso della vita - è l'asse portante di ogni episodio. Ed è proprio attorno allo stretto rapporto che lega i fedelissimi del presidente che si basa la forza della serie. Niente è lasciato al caso e tutto deve passare sotto l'implicito benestare del capo dello staff (altro che Presidente degli Stati Uniti, alla Casa Bianca non si muove una mosca senza l'assenso di Leo McGarry).
West Wing ha avuto grande successo fin dal suo esordio, ma le sue posizioni politiche, schiettamente liberal, hanno talvolta toccato la suscettibilità di alcuni commentatori. Una delle puntate più citate e sicuramente più criticate è stata quella dedicata all'undici settembre. Un episodio speciale realizzato in tre settimane, con uno sforzo produttivo impressionante, e mandato in onda a soli venti giorni dalla tragedia (comunque la si pensi, non si può dire che i produttori manchino di coraggio). Alcuni pensavano che con l'arrivo al governo - quello vero - del repubblicano Bush, anche le sorti del potere ipotetico avrebbero preso la stessa direzione. Ma neanche l'abbandono dello stressato Sorkin, un anno fa, ha portato nell'ala ovest un concreto stravolgimento della linea politica. C'era da immaginarselo, benché la story-line sia ambientata nel presente e tocchi problemi di attualità, vive in una sorta di piano parallelo che non ha punti di diretto contatto con gli orientamenti politici della presidenza reale. Fa eccezione l'idea originaria del telefilm che nasce sotto l'amministrazione Clinton, da cui ha dichiaratamente tratto ispirazione.
Le puntate che vanno attualmente in onda in Italia, ruotano intorno alla campagna per la rielezione del presidente. Gli spin doctor, che lo hanno portato alla vittoria la prima volta e lo hanno guidato attraverso quattro anni di presidenza, hanno ora il difficile compito di farlo rieleggere. E hanno pure qualche problema in più del solito, perché se Bush non ha ancora trovato le armi chimiche di cui aveva parlato, Bartlet si è fatto trovare una malattia degenerativa di cui non aveva mai fatto cenno, che è stato poi costretto a rivelare all'opinione pubblica. E mentire agli americani, fosse anche per una banale questione di sesso, non è mai stata una mossa azzeccata.